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Storia e Conoscenza



Sciacca è un mare di storia e iconografia artistica

Nel 1970 durante i lavori per la nuova rete idrica di Sciacca sono venute alla luce cinque fornaci per ceramiche, una delle quali ha fornito materiale frammentario risalente al XIV secolo nella zona più profonda ed a quello successivo in quello più alta.
Le fabbriche dei ceramisti saccensi erano allora situate nel rione detto “ai quartarari” di fianco alla chiesa di san Francesco, lungo la strada che porta all’attuale chiesa di Sant’Agostino.
Nel XV secolo dalle fabbriche di Sciacca giungono a Palermo ed a Trapani prodotti quali soprattutto mattonelle ispirate allo stile rinascimentale.
Nel 1490 maestro Bartolomeo da Sciacca si impegna a fornire ventimila mattonelle per il Palazzo aiutami cristo di Palermo.
Sette anni dopo i maestri saccensi Antonino Scoma e Francesco Francavilla realizzano mattonelle dipinte per la locale chiesa di santa Margherita.
L’anno successivo il maestro Gasparo Lombardo vende tre migliaia di mattonelle maiolicate per la Chiesa maggiore di Monreale. Numerose sono durante il XVI secolo le forniture di mattonelle dipinte da parte delle fabbriche saccensi.
Ricorrono i nomi di Francesco Sciuto, nel 1545 e nella seconda metà del secolo di Nicola Sciuto, suo probabile parente ed autore di alberelli decorati con foglie a cartoccio e mezzibusti femminili.
Dalla fine del secolo è operante a Sciacca Giuseppe Bonachia, alias Masierato, che realizza “maduni pinti” ed anche vasellame per “aromatarie”come quella di Salemi.
Documentata è anche l’attività in quel volgere di tempo dei fratelli saccensi Vito e Leonardo Lo Bue, Antonio Licatisi, Giuseppe Blasco, Barna Perrone, Antonino Ramanno, Antonino Sanso, Baldassarre di Gangi, Andrea La Magna e Pietro Salomone (quest’ultimo di probabile origine ligure, a conferma di frequenti rapporti tra la nostra terra e la Liguria).
Maestri saccensi si trasferiscono a Palermo ed a Trapani portandovi il gusto rinascimentale.
Risale al 1670 un mutamento nella produzione dei manufatti anche sotto il profilo decorativo e cromatico, mentre si fa più intensa la concorrenza della produzione ligure e di quella napoletana. Nel XVIII secolo Sciacca produce soprattutto mattonelle maiolicate e stoviglie per usi comuni.
Sciacca sta in questo momento vivendo un periodo di crescita del settore che annovera più di 40 botteghe, all’interno delle quali operano parecchi giovani, molti dei quali, come i loro maestri, hanno frequentato l’Istituto Statale d’Arte Bonachia, vera fucina della ceramica di Sciacca, con un’apposita sezione didattica.
L’attuale produzione si ispira al periodo aulico ma non mancano interessanti forme di sperimentazione. La ceramica di Sciacca è stata presente alle più importanti rassegne nazionali ed internazionali. 

L'Albarello


L’albarello (o “alberello” secondo i trattatisti della Crusca) è uno dei vasi di maiolica più caratteristici ed eleganti.
Esso è stato introdotto nella produzione siciliana ed italiana sul principio del XV° secolo, deriva da prototipi orientali e pare sia giunto in Sicilia dal Medio Oriente, con itinerario che inizierebbe dalla Persia e proseguirebbe attraverso la Spagna, sino alla Sicilia.
L’albarello deriva il suo nome dal termine arabo “el barain”, che ne conferma la provenienza orientale.
Si ritine che la forma di questo vaso derivi da un culmo di bambù, tagliato fra nodo e nodo, in modo da ottenere un pratico vaso chiuso alla base e aperto al colmo, idoneo a contenere spezie, unguenti ed altri prodotti di pregio che dall’Oriente venivano spediti nel mondo occidentale.
In effetti la forma più antica dall’albarello è cilindrica, e solo in un tempo successivo, restringendo a metà altezza la forma fondamentale a cilindro, si ottiene quella caratteristica “insellatura” che, oltre a facilitare la presa, conferisce al vaso la sua caratteristica ed elegante sagoma a rocchetto.
L’albarello veniva coperto con un frammento di carta o di pergamena, o, ancora, di vescica animale, da fissare con un legaccio alla apposita strozzatura sul collo del vaso, in modo da assicurare una efficiente chiusura.
Talvolta l’albarello veniva dotato di un coperchio in maiolica, o di un tappo di sughero.
La destinazione normale dell’albarello è allo uso della farmacia. In Francia esso venne addirittura riconosciuto come insegna propria alla professione del farmacista, vietandosene l’uso e l’esibizione agli speziali.
Ma esso fu anche impiegato in usi domestici, e di ciò è prova in numerosi dipinti e documenti.
Talvolta gli albarello recavano le insegne delle famiglie notabili, delle farmacie o delle confraternite che li avevano commissionati. In rari, splendidi esemplari venivano raffigurati nel medaglione i ritratti di personaggi ragguardevoli, come nel caso della serie famosa che riproduce il volto di Don Ferrante d’Aragona e di altri notabili di corte.
Il fascino di questi vasi continua ad essere vivo: gli esemplari antichi vengono custoditi nei musei più prestigiosi, o arricchiscono le raccolte private, e ancora oggi gli albarello continuano ad essere prodotti da artigiani attenti e fedeli ad una nobile e plurisecolare tradizione.